“Proprio qui, alla fine del mondo,
approda la nostra barchetta, in un giorno vagabondo.
È il paese dei desideri: sogni, mostri, sconosciuti piaceri.
Ma attenti, attenti: è un paese di delizie che hanno i denti.
Perché, chi non lo sa
con quali zanne mangia l’umanità?”
È uno spettacolo che guarda alle contraddizioni del presente attraverso la lente di una storia cruda e violenta, ingaggiando il pubblico in un gioco pericoloso e seducente. È un cabaret agrodolce che si tinge di nero, tra comicità grottesca e ironia dissacrante.
Saranno loro a dare vita a questa storia: una storia di amore, morte, sesso e soldi, sullo sfondo di una città corrotta. Sono donne che tradiscono, che lottano, donne che si usano a vicenda. Cuori neri dalla nascita o anneriti dalla vita, che pulsano vitali in uno scenario desolato. Macheath è l’unico uomo, il bandito, l’eterno assente, e suscita in questi cuori neri sentimenti assoluti. Amato, odiato, agognato, e infine spolpato fino all’osso.
La composizione di questo spettacolo si ispira a The Beggar’s Opera di John Gay, commedia musicale scritta nel 1728, in cui l’autore miscelava la musica colta e la canzone da osteria, la presa in giro del “gran teatro”, la satira più nera, e adattava canzoni già note al pubblico, fossero ballate o arie d’opera. Allo stesso modo, il linguaggio teatrale delle Nina’s Drag Queens è un pastiche di citazioni, affettuose parodie, brani cantati in playback, che attinge al repertorio della musica contemporanea e lo reinventa all’interno di un gioco scenico. Con la stessa allegra ferocia messa in campo da Gay, sotto il segno di un umorismo amaro e politicamente scorretto.
Dragpennyopera è un’opera buffa e, insieme, un’opera seria.
Un cabaret feroce dai tratti mostruosi e scintillanti.
Un ritratto a colori della nostra umanità così nera.
Un potere assoluto, corrotto e stolido, che si intreccia all’illegalità e alla malavita.
Un mondo di miserabili dove l’unica bussola è l’interesse personale.
A raccontare questa pastorale dei bassifondi, cinque figure femminili estreme nei sentimenti e nei comportamenti, animalesche e inquietanti ma al tempo stesso ironiche: drag queen, insomma.
La drag queen, clown dell’eccesso in bilico tra pop e melò, dai tratti esagerati e smaccatamente finti, è la nostra strada per indagare personaggi al limite come questi. Il bandito Macheath è la presenza-assenza viscerale che anima ogni gesto di queste figure che hanno la voce di Mina e il corpo di un maschio. E queste creature, anfibie e multiformi per loro natura, si muovono in uno spazio scenico precario, in bilico sul piano inclinato di una catastrofe.
La frammentazione dello spazio scenico procede di pari passo con un testo esploso, mescolato a canzoni in playback, coreografie, continui cambi di punto di vista, continui dentro-fuori dall’azione scenica. Nel guardare a “The Beggar’s Opera” non si può prescindere dalla versione di Brecht/Weil. Nel caso delle Nina’s Drag Queens questo ha portato a un approccio ancora più profondo e diretto con il pubblico, a una riflessione sul ruolo del teatro nella società, sulle forme in cui una storia può essere esemplare, etica. Lo “straniamento” della drag queen è dato dal suo essere una maschera postmoderna, e la libertà espressiva di cui gode in quanto maschera alza la posta in gioco, riporta il teatro a ciò che deve essere: il luogo dello scontro. Lo stesso playback è una menzogna assoluta, così assoluta da poter diventare, nel contesto di una drammaturgia che la include, una strana forma di verità.
Sax Nicosia
con Alessio Calciolari, Gianluca Di Lauro,
Stefano Orlandi, Lorenzo Piccolo, Ulisse Romanò
coreografie Alessio Calciolari
drammaturgia Lorenzo Piccolo
regia Sax Nicosia
costumi Gianluca Falaschi
scene Nathalie Deana
musiche originali Diego Mingolla
artwork Donato Milkyeyes Sansone
parrucche Mario Audello
disegno luci Luna Mariotti
assistenza ai costumi Rosa Mariotti
assistenza alla regia Mila Casali
produzione Aparte Società Cooperativa
grazie a la Corte Ospitale – Progetto Residenze, ATIR-Teatro Ringhiera
con il contributo di Fondazione Cariplo
nell’ambito del progetto fUNDER35
spettacolo selezionato da NEXT
Ironico, buffo, con un fondo di malinconia. (…) Non si può non amarle.
Sara Chiappori, La Repubblica
Le Nina’s sorprendono da subito con la loro coralità. (…)
Si inseguono in un trascinante labirinto di ipocrisie, incanti, amicizie, ironie, umane bestialità, parodie, amori, morte. (…)
Complici i meravigliosi costumi ‘parlanti’ di Gianluca Falaschi, le donne raccontano se stesse e fanno vivere Macheath nelle loro parole. (…)
Le luci di cinque cappi illuminano altre possibili verità e fanno sorgere il dubbio che Macheath, in un rocambolesco gioco di specchi,
abbia i volti di Peachum, Polly, Lucy, Tigra, Jenny.
Raffaella Viccei – Stratagemmi
Lo spettacolo, benché scenograficamente misurato, è sontuoso, muscolare, coinvolgente. Gli attori si tramutano agilmente da scintillanti drag su tacchi a spillo a servi di scena fetish, figure del paesaggio, a volte ombre che fanno da contrappunto alla recitazione degli altri. È un cambio di fisicità e di peso fondamentale, che crea in chi guarda l’incapacità di determinare quante figure siano effettivamente presenti. (…) Questo mondo magico e basso risuona nell’inconscio dello spettatore, cioè quello spazio profondo che ha a che fare col gioco, il paradosso, il travestimento e una certa dose di spietatezza. (…)
Il teatro drag è un teatro alchemico. Col tono dello scherzo, del cinismo cosparso di paillettes si possono dire le cose più provocatorie. Le più vere, forse. Senza che questo diventi lezione. Infatti, ammonisce la Signora Peachum: «La verità … ma chi ci crede? Abbiamo bisogno della rappresentazione».
Elena Cattaneo, Sulromanzo.it
Con Dragpenny finalmente la “questione drag” diventa e torna ad essere, come giustamente forse deve, un mezzo. Uno dei tanti mezzi da esplorare da parte del gruppo di ricerca sul teatro. Certo, quello ancora dominante, la cifra di continuità con quello che finora è stato. Ma già la presenza dei camerini in scena smaschera il gioco e lo trasforma in occorrenza metateatrale.
Renzo Francabandera, Paneacquaculture.net
La scelta di affidare alle Drag Queen la scena è pionieristico, almeno in Italia. Non si tratta della scena in sé, in cui della presenza drag pullula l’avanspettacolo nazionalpopolare, quanto piuttosto del riuscitissimo tentativo di rendere la Drag un’attrice a tutto tondo, drammatica e comica, surreale e grottesca con potenzialità che nessun attore potrebbe mai incarnare. La Drag diventa la nuova maschera greca, del teatro antico porta l’atto semplificatorio-sintetico da un lato e artisticamente straniante rispetto alla realtà dall’altro. (…) La regia di Sax Nicosia – invero assai onirica e validamente evocativa – immagina una scena scarna che si riempie di cappi e forche. Essi trasmutano il loro significato di continuo, in una fusione di spazi, situazioni, significati stratificata di livello.
E non solo la scena è un continuo mutar di genere e forma, anche i personaggi sono di siffatta specie. Amore e tradimento vanno a braccetto, denaro e gratuità, dedizione cieca all’amore e morte inscenata. L’uomo, quello di cui sono tutte innamorate, latita. (…) Il colpo di teatro sta nel non mostracelo mai in carne e ossa. (…) Una nota a parte meritano gli attori. Alessio Calciolari (Lucy Lockit), Gianluca Di Lauro (Jenny Diver), Stefano Orlandi (Tigra Lockit), Lorenzo Piccolo (Norma Peachum), Ulisse Romanò (Polly Peachum) sono un concentrato di talento, convincenti attori, navigati caratteristi, abili nelle sterzate improvvise dal tragico al tragicomico come solo a una Drag si concede.
Daniele Stefanoni, Dramma.it
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